SERVITU’ DI VEDUTA E CONDOMINIO

Quando si installa una tettoia nel condominio vanno rispettate le distanze legali di legge, pena la rimozione dell’opera.

 A ribadirlo ancora una volta è la recente sent. 17695 del 7-9-2016 della Cassazione Civile.

Il caso: i proprietari dell’appartamento posto al secondo piano di uno stabile citano il proprietario dell’appartamento al piano sottostante esponendo che questi aveva realizzato opere di copertura ed isolamento della terrazza di pertinenza del proprio appartamento in violazione della distanza di cui all’art. 907 c.c., e ne chiedevano la rimozione. La questione giunge all’attenzione della suprema Corte che, nel confermare il dictum della corte palermitana, riepiloga i principi di legge in materia:

  • l’art. 907 c.c., in tema di distanze delle costruzioni dalle vedute, è applicabile anche nei rapporti tra condomini di un edificio, non derogando l’art. 1102 c.c. al disposto del citato art. 907 c.c. (cfr. Cass. 2.10.2000, n. 13012): il proprietario del singolo piano di un edificio condominiale ha quindi diritto di esercitare -dalle proprie aperture (finestre)- la veduta in appiombo fino alla base dell’edificio e di opporsi conseguentemente alla costruzione di altro condomino (nella specie, un pergolato realizzato a copertura del terrazzo del rispettivo appartamento) che, direttamente o indirettamente, pregiudichi l’esercizio di tale suo diritto, senza che possano rilevare le esigenze di contemperamento con i diritti di proprietà ed alla riservatezza del vicino, avendo operato già l’art. 907 c.c. il bilanciamento tra l’interesse alla medesima riservatezza ed il valore sociale espresso dal diritto di veduta, in quanto luce ed aria assicurano l’igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li abita (cfr. Cass. 16.1.2013, n, 955).
  • la violazione del diritto di veduta del proprietario di un’unità immobiliare si determina quando viene realizzata una “fabbrica” a distanza inferiore da quella prevista dalla legge, di qualsiasi materiale e forma, idonea ad ostacolare stabilmente l’esercizio della “inspectio” e della “prospectio” nonché di godere di luce ed aria dalla veduta (cfr. Cass. 30.1.2008, n, 2209); pertanto, il condomino che abbia trasformato il proprio balcone in veranda, elevandola sino alla soglia del balcone sovrastante, è soggetto alla normativa sulle distanze di cui all’art. 907 c.c., quando la costruzione insista su altra area del terrazzo non ricadente in quella del sovrastante balcone, mentre non è tenuto ad analogo rispetto qualora la veranda insista esattamente nell’area del balcone senza debordare dal suo perimetro, in modo da non limitare la veduta in avanti e a piombo del proprietario sovrastante (cfr. Cass. 7.8.2007, n. 17317).
  • la “veduta” viene esercitata dai condomini iure proprietatis, non già iure servitutis, e il “diritto di veduta” iure proprietatis non è soggetto a prescrizione estintiva, trattandosi di facoltà costituente manifestazione intrinseca del diritto di proprietà; il mancato uso dello ius prohibendi da parte del proprietario del fondo dominante non comporta, ancorché protratto per un periodo superiore a venti anni, l’estinzione della servitù;
  • in caso di violazione delle distanze tra costruzioni determinante l’asservimento di fatto del fondo del vicino o la limitazione di una servitù a suo favore, il danno deve ritenersi “in re ipsa” (cfr. Cass. 27.3.2008, n. 7972); pertanto, una volta dimostrato il fatto obiettivo della violazione, non occorre un’autonoma e specifica prova del pregiudizio sofferto, che può essere valutato dal giudice equitativamente a norma dell’art. 1226 c.c., ove risulti la difficoltà di una sua precisa determinazione in relazione alla peculiarità del fatto dannoso (cfr. Cass. 23.3.1993, n. 3414).

Il testo integrale della sentenza è consultabile qui.

(11 m.ti w-l)

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