E’ irrilevante il fatto che un bene condominiale non sia espressamente indicato – come bene pertinenziale – nel titolo di acquisto; invero – in forza del principio per cui “accessorium sequitur principale” – gli atti traslativi aventi per oggetto le proprietà individuali facenti parte di un condominio comprendono i beni condominiali, destinati per la loro funzione all’uso e servizio dei beni di proprietà solitaria.
E’ quanto correttamente rilevato dalla recente Cassazione n.6458 del 6 marzo 2019, che così motiva:
Individuato il momento di costituzione del condominio, deve reputarsi operante la presunzione legale ex art. 1117 c.c. di comunione “pro indiviso” di tutte quelle parti del complesso che, per ubicazione e struttura, siano – in tale momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso, salvo che dal primo titolo di frazionamento non risulti, in contrario, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente al venditore o ad alcuno dei condomini la proprietà di dette parti (Cass. Sez. 2, 18/12/2014, n. 26766; Cass. Sez. 2, 22/08/2002, n. 12340; Cass. Sez. 2, 07/08/2002, n. 11877). La mera circostanza che uno dei successivi atti di vendita di una singola unità immobiliare non contenga espressa menzione del trasferimento anche della comproprietà delle aree comuni non è, in sostanza, in alcun modo sufficiente a superare la presunzione posta dall’art. 1117 c.c., la quale, al contrario, comporta che all’atto stesso consegua l’alienazione, unitamente alla porzione esclusiva, della corrispondente quota di condominio su dette parti comuni. Stando, infatti, al consolidato orientamento di questa Corte, una volta accertata la sussistenza di una situazione di condominio di edifici, le vicende traslative riguardanti i piani o le porzioni di piano di proprietà individuale estendono i loro effetti, secondo il principio “accessorium sequitur principale”, alle parti comuni necessarie per la struttura o destinate per la funzione al servizio degli immobili di proprietà solitaria (come, nella specie, la striscia destinata al passaggio comune), non trattandosi, per quanto accertato in fatto dalla Corte di Genova, di area legata agli appartamenti delle parti da mera relazione spaziale (Cass. Sez. 6 – 2, 26/10/2011, n. 22361; Cass. Sez. 2, 27/04/1993, n. 4931).
Devesi poi qualificarsi come cortile qualsiasi spazio esterno che abbia la funzione non soltanto di dare aria e luce all’adiacente fabbricato, ma anche di consentirne l’accesso (Cass. Sez. 2, 29/10/2003, n. 16241; Cass. Sez. 2, 03/10/1991, n. 10309). Tale bene, pertanto, ove manchi un’espressa riserva di proprietà o sia stato omesso nel primo atto di trasferimento qualsiasi univoco riferimento al riguardo, deve essere ritenuto parte comune dell’edificio condominiale, ai sensi del medesimo art. 1117 c.c., ceduta in comproprietà pro quota.
Peraltro, questa Corte ha ancora di recente ribadito come, al fine di accertare se l’uso esclusivo di un’area esterna al fabbricato, altrimenti idonea a soddisfare le esigenze di accesso all’edificio di tutti i partecipanti, sia attribuito ad uno o più condomini, è irrilevante la circostanza che l’area stessa, per la conformazione dei luoghi, sia stata di fatto goduta più proficuamente e frequentemente dal condomino titolare della contigua unità immobiliare (Cass. Sez. 2, 04/09/2017, n. 20712).
Ne consegue che non ha alcun rilievo il contenuto di un atto traslativo che non indica una parte comune non potendo esso valere quale titolo contrario ex art. 1117 c.c., né validamente disporre della proprietà esclusiva dell’area oggetto di lite, ormai compresa fra le proprietà comuni (rimanendo nulla, al contrario, la clausola, contenuta nel contratto di vendita di un’unità immobiliare di un condominio, con la quale venga esclusa dal trasferimento la proprietà di alcune delle parti comuni: cfr. Cass. Sez. 2, 29/01/2015, n. 1680).
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(8 m.ti w-l)
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