La parte comune asservita ad area parcheggio è uno dei luoghi in cui sovente occorrono accesi scontri tra i condomini.
La condotta posta in essere da taluno dei condomini, infatti, che si concreta nel parcheggio di una autovettura dolosamente preordinato ad impedire il passaggio di un mezzo o comunque di privare una persona della propria libertà di determinazione od azione, integra un delitto di violenza privata (ex multis, Cass.Pen., Sez. V, sent. 17/5/2006 n. 21779).
Il reato di “Violenza privata”, ex articolo 617 c.p., è quello per cui: Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni. Ergo, configura il reato di violenza privata la condotta di chi parcheggia la propria autovettura nel cortile condominiale in modo da impedire l’uscita del veicolo altrui, a nulla rilevando, come giustificazione e/o esimente, l’asserito smarrimento delle chiavi dell’automobile, anche laddove noto alla persona offesa per il tramite di altre persone presenti nell’area di sosta dei veicoli (Cass. Pen. Sentenza 7592, sezione Quinta, del 28-02-2011)
L’ultimo episodio di violenza privata in sede di parcheggio condominiale è stato esaminato dalla Cassazione, con la sentenza 7 dicembre 2015, n. 48346. Il giudice di legittimità ha qui censurato la condotta di un condomino che ha parcato la propria autovettura innanzi al locale garage di un altro condòmino, sottraendogli per di più le chiavi del motociclo, al fine di attendere l’arrivo della polizia. Deduceva il condomino imputato di aver subìto dalla presunta parte offesa un’aggressione fisica e dunque la sua condotta era semplicemente diretta ad evitare che il proprio vicino si allontanasse prima dell’arrivo della polizia.
L’elemento della violenza nella fattispecie criminosa in disamina è stata però identificata nell’uso proprio di siffatti mezzi, idonei a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione.
Parcheggiare la propria autovettura dinanzi ad un garage in modo tale da bloccare il passaggio impedendo l’accesso alla parte lesa è quindi censurabile sotto tale profilo. Viceversa, non ha assunto alcun pregio la giustificazione addotta dall’imputato per legittimare la condotta posta in essere, e cioè impedire la libertà di movimento alla “persona offesa” così da permettere l’arrivo della polizia per denunciare la stessa, a propria volta, per la causazione di lesioni subite a fronte di una precedente aggressione fisica.
In buona sostanza, bloccare l’auto del vicino parcheggiando avanti al rispettivo garage/posto auto il proprio mezzo integra sempre e comunque gli elementi del delitto di violenza privata e, in quanto tale, una simile condotta non è giustificabile in alcun modo: tampoco laddove si affermi che essa “violenza” sia stata posta in essere al fine di lucrare del tempo per consentire alle forze dell’ordine di intervenire sul luogo del reato, onde denunciare una asserita aggressione fisica.
Ed anche se il fatto non può essere perseguito come reato, tale condotta può essere comunque fonte di responsabilità civile.
Lo ricorda il giudice di Pace di Roma che, con una sentenza di poco tempo fa [G.d.P. Roma, sent. n. 27962/2013], ha condannato uno “scostumato” del volante, colpevole di aver parcheggiato l’auto in seconda fila, bloccandone un’altra, per andare a giocare alla sala del “bingo”. A causa dell’ostruzione, l’automobilista bloccato avrebbe perso un appuntamento con la fidanzata che non vedeva da diverso tempo. Da cui la frustrazione e il danno non patrimoniale.
Il giudice ricorda che, in questi casi, si può ben parlare di un danno non patrimoniale tutte le volte in cui vi sia una lesione di un principio fondamentale tutelato dalla Costituzione: in questo caso si tratterebbe della libertà della persona.
Insomma: il danno esistenziale scatta per via del peggioramento della vita di relazione oltre che per il dispendio inutile di mezzi per difendersi dal danno ingiusto.
Nel caso di specie, non avendo un parametro fermo e oggettivo per liquidare il danno, il giudice ha definito il risarcimento “in via equitativa” (ossia sulla base di quanto è sembrato “giusto” allo stesso magistrato): 200 euro.
(13 m.ti w-l)
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