Gettare oggetti dal balcone è un problema di ordine condominiale, ma non solo.
Qualora si dovesse colpire un pedone sul marciapiede, l’autore della condotta illecita ne risponderebbe infatti in prima persona, senza possibilità di chiedere l’intervento dell’assicurazione del condominio.
Al di là, comunque, degli aspetti risarcitori connessi a qualsiasi tipo di danno, seppur minimo (come lo sgocciolio dell’acqua sulle piante del terrazzo del vicino sottostante o le cicche di sigaretta), il codice penale ha previsto una norma apposita per condotte di questo tipo (art.674 c.p.).
Secondo tale disposizione di legge, chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito (per esempio, la strada) o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso (per esempio uno spazio condominiale o il terrazzo del vicino), cose atte a danneggiare, o imbrattare o solo molestare persone, è punito con l’arresto fino a un mese o con un’ammenda pecuniaria.
Si tratta di uno di quei reati di minor peso che, oggi, è stato sostanzialmente depenalizzato: trattandosi, appunto, di “fatto tenue”, è prevista la non punizione del colpevole e l’archiviazione del procedimento. La fedina penale, tuttavia, resta sporca e impregiudicata è la possibilità di chiedere il risarcimento del danno con un autonomo giudizio di carattere civile.
La portata del divieto penale è assai ampia.
Difatti, la legge usa espressioni molto generiche e onnicomprensive.
In particolare si parla di “versare”: azione che chiaramente riguarda i liquidi o simili (come la polvere del tappeto, il residuo dell’aspirapolvere, sabbie, ecc.).
Il richiamo, invece, alla parola “gettare” riguarda le cose solide o, in ogni caso, aventi diversa consistenza.
Questi concetti di “getto” e “versamento” hanno un significato molto ampio e comprendono quindi un numero abbastanza elevato di ipotesi; la norma peraltro non specifica le modalità con le quali debbano essere effettuati, né sulla base di quali principi fisici debba avvenire l’azione (ad esempio, caduta per gravità, spinta meccanica, lancio manuale ecc.) né sulla traiettoria che la cosa deve compiere.
L’ambito di efficacia della disposizione in esame è peraltro ulteriormente ampliato dall’utilizzazione, da parte del legislatore, del termine “cosa”, volutamente generico ed evidentemente finalizzato a rendere più ampio possibile l’oggetto del versamento o del getto.
Di conseguenza può commettere tale reato il condomino che, innaffiando i fiori del proprio appartamento, getta acqua e terriccio nell’appartamento sottostante, imbrattandone il davanzale e i vetri.
Tale conclusione vale soprattutto se i versamenti si sono protratti nel tempo e sono proseguiti nonostante le lamentele della persona offesa e le segnalazioni dell’amministratore del condominio.
Quindi, perché possa scattare il reato è necessario, non un episodio isolato e neanche la ripetitività giornaliera delle emissioni moleste, ma è sufficiente che le stesse si protraggano, senza interruzioni di rilevante entità, per un apprezzabile lasso di tempo.
Ne consegue che il versamento di acqua e terriccio, dovuto alla mania del pollice verde, provoca una molestia sanzionabile con il codice penale, oltre che – se si provano i presupposti – con una richiesta di risarcimento del danno.
Configura ad esempio il reato di getto pericoloso di cose anche il comportamento della condomina che sistematicamente utilizza il balcone sottostante al proprio appartamento come pattumiera, gettando sigarette, cenere e detersivi corrosivi come la candeggina.
Con riferimento, invece, a chi scuote tappeti o tovaglie, facendo cadere briciole e polvere sulle finestre e sul terrazzo del condomino sottostante, la Cassazione ha precisato in passato (ma l’orientamento non è costante, poiché si trovano precedenti anche di segno contrario) che, in tali casi, non scatta il reato di getto pericoloso di cose: ciò perché tale condotta non sarebbe idonea a molestare le persone o a imbrattare le cose.
Il reato in questione ricorre, invece, in presenza di immissioni olfattive provenienti da un impianto munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera: in questo caso è infatti sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilità.
È il caso del fumo di scarico di un ristorante o il forno di una pizzeria.
Questo tuttavia non toglie che, in presenza della prova di un danno concreto e certo, si possa comunque chiedere il risarcimento del danno in via civilistica, senza dover scomodare il codice penale: così, se l’acqua che sgocciola o le molliche cadute sul vicino del piano di sotto non sono tali da molestare o recare offesa, resta sempre la possibilità dell’indennizzo monetario.
(16 m.ti w-l)
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