L’art. 1117, n. 2, c.c., con un’elencazione esemplificativa, considera comuni i locali destinati a portineria, alloggio per il portiere, lavanderia, riscaldamento, stenditoi, ecc..
Poiché tali locali costituiscono beni ontologicamente suscettibili di utilizzazioni diverse, per diventare beni comuni essi necessitano di una specifica destinazione al servizio in comune; affinché un locale sito nell’edificio – che, per la sua collocazione, può essere adibito ad alloggio del portiere, oppure utilizzato come qualsiasi unità abitativa – diventi una parte comune ai sensi dell’art. 1117, n. 2, cit., occorre che, all’atto della costituzione del condominio, al detto locale sia di fatto assegnata la specifica destinazione al servizio comune; se prima della costituzione del condominio la destinazione al servizio comune non gli viene conferita o gli viene sottratta, il locale non può considerarsi come bene comune, non essendo sufficiente la destinazione prevista nella licenza edilizia (Cass., 26 novembre 1998, n. 11996).
In definitiva, la destinazione all’uso comune, nella quale si sostanzia la presunzione legale di proprietà comune, deve risultare da elementi obiettivi, e cioè dalla attitudine funzionale del bene al servizio dell’edificio, considerato nella sua unità e al godimento collettivo, prescindendo dal fatto se lo stesso sia utilizzato o utilizzabile da tutti i condomini.
Non ha alcun valore la volontà dei proprietari o del proprietario, che destinano una parte dell’edificio ad un determinato servizio, mentre ha esclusivo valore la volontà oggettivatasi del costruttore; ha valore, cioè la destinazione strutturale del bene ad un determinato servizio comune, e, quindi la sua oggettiva accessorietà rispetto all’intero edificio con riferimento a detto servizio; e non la sua eventuale adattabilità od occasionale idoneità a quel medesimo servizio.
Il fatto che il proprietario originario di un edificio abbia concesso gratuitamente l’uso di un locale in corrispettivo di prestazioni di portierato non importa, per sé solo, in caso di vendita successiva di una parte dell’immobile a più acquirenti, che il locale suddetto diventi oggetto di proprietà comune dei condomini, anche se le mansioni di portineria abbiano continuato ad essere svolte nell’ interesse di tutti (Cass., 20 ottobre 1963, n. 2856) e che non può considerarsi comune un locale per il solo fatto che in esso si svolgono assemblee condominiali (Cass., 10 novembre 1976, n. 4139).
Nell’ipotesi in cui un locale non sia più destinato ad uso condominiale, si applica la disciplina della comunione in generale, in base alla quale deve ritenersi consentito ai partecipanti alla comunione di concedere il detto bene in locazione per renderlo fruttifero, senza che per la modifica della destinazione sia necessario l’atto scritto, essendo questo richiesto soltanto per i contratti che costituiscono la comunione di diritti reali su beni immobili (Cass., 27 gennaio 1996, n. 642).
(8 m.ti w-l)