Bene condominiale e bene pertinenziale sono entità giuridiche distinte, tale per cui la relazione di accessorietà tra parti comuni ed unità immobiliari, tipica del condominio di edifici, ex artt. 1117 e ss. c.c., esula dalla figura delle pertinenze ex art. 817 c.c.
Nel condominio i beni comuni (il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, le facciate, i tetti, i cortili, gli impianti che servono all’uso comune), non sono «cose» distinte e autonome rispetto alle porzioni di proprietà individuale, ma «parti» indivisibili di un tutto. Le parti elencate dall’art. 1117 c.c. non offrono alcuna utilità autonoma e compiuta, in quanto la loro utilizzazione oggettiva e il loro godimento soggettivo sono unicamente strumentali all’utilizzazione o al godimento degli appartamenti. Al contrario, le pertinenze di cui all’art. 817 c.c. suppongono due «cose» che mantengono la loro identità, non sono congiunte fisicamente, quanto combinate in forza di una «destinazione durevole» (cioè, di una destinazione non episodica, ma comunque temporanea) al servizio o all’ornamento l’una dell’altra. Perché, peraltro, si crei un’efficace destinazione pertinenziale, basta essere proprietario o titolare di altro diritto reale sulla sola cosa principale, mentre non occorre essere anche proprietario (o comproprietario) della cosa destinata a pertinenza. Ed ancora, il proprium della res accessoria è la sua non indispensabilità, ovvero la sua separabilità dal tutto, mentre la divisibilità delle parti comuni dell’edificio condominiale è rigidamente condizionata, in base all’art. 1119 c.c., al raffronto tra i vantaggi che i singoli condomini ritraevano in precedenza da esse e i vantaggi che ne ricaverebbero dopo la divisione (oltre che al “consenso di tutti i partecipanti al condominio”, presupposto esplicitamente aggiunto dalla legge n. 220/2012).
Queste le differenze rimarcate dalla recente Cassazione n.6458/2019.
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